Di Marino Bottà, direttore generale di ANDEL
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Nel giugno del 2015 entrai in possesso di due bozze delle Linee Guida sul collocamento mirato previste dal Decreto Legislativo 151/15, arrivato in Gazzetta Ufficiale il 14 settembre di quell’anno. La pubblicazione delle stesse era prevista a 180 giorni dall’entrata in vigore del Decreto, ma invece non successe nulla. Suggerii pertanto ad alcuni Deputati di presentare un’Interrogazione Parlamentare. Ne furono presentate esattamente due, che ottennero una risposta tranquillizzante dall’allora Sottosegretario, in quanto, a suo dire, sarebbero state pubblicate a breve. Ebbene, sono passati cinque anni e mezzo e di quelle Linee Guida non si è più parlato.
Oramai, però, sono del tutto inutili. La crisi economica, la crisi pandemica, i cambiamenti in corso nel mondo del lavoro, la rivoluzione tecnologica e la “calcificazione” del sistema del Collocamento Disabili richiedono infatti riforme sostanziali e non semplici indicazioni obsolete e inefficaci come delle Linee Guida redatte nel lontano 2015. La loro pubblicazione appaleserebbe unicamente la superficialità e la disattenzione verso un milione di persone iscritte negli elenchi del Collocamento Disabili e verso le loro famiglie.
Ma vediamo cosa dicevano e come lo dicevano, quelle bozze.
L’introduzione sottolinea la volontà di non imporre o condizionare gli uffici provinciali competenti: “Le linee di indirizzo per il collocamento mirato […] rappresentano strumenti di indirizzo […] gli amministratori possono fare riferimento […] non si sostituiscono alle legislazioni regionali […] offrono un quadro di riferimento […] nella forma delle raccomandazioni […] raccomandazioni formulate in forma propositiva […] raccomandazioni in attività possibili e auspicabili […] strumenti utilizzabili [grassetti dell’Autore mella citazione, N.d.R.]».
Questo approccio a temi così delicati e complessi porta come ovvia conseguenza al dello statu quo, visto che spesso gli uffici preposti non rispettano nemmeno le norme di legge e visto che ogni Regione rivendica piena sovranità in materia. Sarebbero inoltre l’alibi per non provvedere ad alcuna riforma per almeno altri cinque anni.
Per quanto poi riguarda la valutazione bio-psico-sociale, si leggeva: «In tema di linguaggio di riferimento e di regole descrittive del funzionamento in ottica bio-medico-sociale, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, Salute e disabilità (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è venuta proponendosi in misura sempre più estesa […]. Va promosso l’utilizzo di metodi di valutazione e di misure che enfatizzano i punti di forza».
Tutto questo non è riscontrabile nel mondo del lavoro e dei servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili, visto che l’ICF non viene utilizzato dalle Commissioni per l’Accertamento delle Invalidità (INPS, INAIL e ASL) e nemmeno dai Servizi per il Collocamento Disabili.
Sul rapporto con le imprese soggette agli obblighi, si leggeva quindi: «La piena collaborazione con i datori di lavoro costituisce un elemento imprescindibile per il successo dell’attività dei servizi di Collocamento Disabili».
Purtroppo il sistema del collocamento vede le aziende come controparte, come soggetti propensi ad attivare tutte le strategie possibili per evitare l’assunzione delle persone con disabilità. Non è quindi possibile parlare di collaborazione, prima di una rivoluzione culturale di tutto il sistema del collocamento pubblico. Non è certo con delle indicazioni di principio e con degli auspici che si può cambiare un sistema oramai calcificato dopo vent’anni di gestione inadeguata della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).
E ancora, riguardo all’analisi dei posti di lavoro, si diceva che essa «è un’attività che comprende l’esame del fabbisogno professionale, del profilo professionale richiesto e dell’ambiente di lavoro».
Forse chi aveva redatto quel testo non sapeva che il personale del Collocamento Disabili non si sposta dai propri uffici per recarsi in azienda. Il rapporto collocamento disabili/imprese non è certo sinergico e collaborativo, bensì si fonda su una relazione condizionata dall’obbligo e imposta da specifiche normative. Bisogna inoltre prendere atto che il personale incaricato è insufficiente e impreparato sui temi della disabilità, del mondo del lavoro e del mercato del lavoro. Gli uffici gestiscono la Legge 68/99 unicamente in modo burocratico/amministrativo. È pertanto inutile dare indicazioni prima di avere provveduto a riformare gli uffici competenti e formato il personale.
Sulla rete integrata si scriveva poi: «La rete integrata va intesa come processo finalizzato all’integrazione lavorativa delle persone con disabilità […]. Lo scopo […] è di promuovere e coordinare i processi di mediazione […], il collocamento disabile svolge una funzione di riferimento della rete, facilitando la relazione fra i diversi attori aderenti».
Con il termine rete si intende un soggetto sociale composto da più enti accreditati al lavoro e non, che collaborano nella gestione di servizi, progetti e azioni, a favore dell’inclusione lavorativa. La presenza territoriale di queste reti è estremamente povera e inefficace. Ogni partner della rete si attiva autonomamente e in concorrenza con gli altri, pur non possedendo le necessarie professionalità per gestire l’intera filiera delle competenze utili a gestire i percorsi di accompagnamento al lavoro. Col passare del tempo si è compromesso lo spirito di sussidiarietà, per lasciare spazio ad autoreferenzialità, autarchia, confusività e concorrenzialità.
Infine, per concludere la prima parte di questa analisi, in relazione agli accordi sindacalisi diceva: «I servizi per il collocamento mirato promuovono accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro […], gli accordi prevedono monitoraggi semestrali degli interventi […]. Le Regioni adottano atti di programmazione triennale con l’individuazione degli obiettivi e degli interventi in materia di collocamento mirato […]; si definiscono indirizzi per la stipula di convenzioni di cui all’art. 11, 12 bis, della legge 12 marzo 1999, n. 68 e per le convenzioni quadro di cui all’articolo 14 del D.Lgs 10 settembre 2003, n. 276 […]. I servizi per il collocamento mirato promuovono accordi territoriali con le cooperative sociali . E con i consorzi».
Qui bisogna tuttavia constatare che diciotto anni dopo la pubblicazione del citato Decreto Legislativo 276/03, in molte Regioni non esistono le convenzioni quadro per stipulare accordi fra imprese private e cooperative sociali di tipo B, e non esiste nemmeno la modulistica per concretizzare le disposizioni dell’articolo 12 bis della Legge 68/99.
Dunque, dalla lettura del testo, si evince che i redattori di esso non avevano alcuna esperienza della gestione del collocamento disabili e nemmeno la conoscenza della realtà dei servizi pubblici provinciali.